La Valle dell’ Inferno

I Monti del Matese, tra Campania e Molise, custodiscono canyons dove la natura irrompe in tutta la sua forza e straordinaria bellezza, rimandando a paesaggi fiabeschi e fuori dal tempo. A dispetto del nome, la Valle dell’Inferno, che si snoda tra i comuni di Castello del Matese e San Gregorio, è un paradiso per piante ed animali insoliti, così come la valle del Torano che dal borgo antico di Piedimonte Matese, segue il letto del torrente nelle viscere dei monti tra alte parete a strapiombo, rivoli e cascate. La Valle dell’Inferno è raggiungibile seguendo la segnaletica CAI 14B, attraverso la valle Orsara (440m s.l.m.) e la piana delle Grassete (630 m.s.l.). Da Piedimonte Matese si procede con l’auto fino a San Gregorio seguendo l’indicazione dell’agriturismo ” Le Pastene” dove, imboccando una strada tutta in discesa per circa 1,5 km, si raggiunge la valle Orsara con la fontana dei monaci dove verrà lasciata l’auto per poi proseguire a piedi. Il primo tratto del sentiero si snoda attraverso una fitta vegetazione che si estende fin sotto le pareti calcaree. Dapprima pianeggiante, man mano che ci si procede verso il ventre della montagna, il sentiero comincia a salire attraverso tornanti rivestiti di pietrisco e rocce sgretolate. Un cespuglio di alkekengi con le sue riconoscibili lanterne arancio richiama l’attenzione. Era la prima volta che mi capitava di vedere la pianta allo stato selvatico. Lungo i fianchi dei tornanti, piccoli boschi, felci ed edere colonizzano l’ambiente ombroso. Terminata la salita, si apre davanti il pianoro delle Grassete, riconoscibile dall’ampia vallata lasciata incolta, dove abbondano enormi cespugli di more selvatiche e qualche albero da frutto ormai abbandonato.

Tracce di sterco rivelano la presenza del bestiame al pascolo. E’ piena estate ed è occasione per fermarsi a raccogliere delle more. L’abbigliamento è quello da trekking con pantaloni lunghi, ma leggeri, calzettoni alti e scarpe robuste. Quando si passeggia per zone così incolte e selvagge c’è sempre da stare attenti..anche all’incontro inaspettato con qualche vipera. Arrivati al bivio, la segnaletica ci indica di voltare a sinistra per il vallone. Il sentiero diventa così sempre più ombroso e la vegetazione cede il posto ad un bosco incantato dove l’umidità favorisce il proliferare di muschi e felci. Ovunque, sui tronchi uno spesso strato di muschio riveste la corteccia, mentre altri rami, come liane, pendono dall’alto come fossimo in una foresta tropicale. Felci di ogni tipo rimandano a scenari primordiali. Molte sono quelle del genere Asplenium, riconoscibili per le loro foglie piene dal verde lucido. Nel canyon, eroso dalle acque nel corso dei millenni, ci si sente piccoli e indifesi. Alzando gli occhi al cielo la sensazione è spiazzante. Le pareti calcaree sono altissime e in qualche punto sembrano addirittura toccarsi, come nel tratto delle “pintime jonte” che in dialetto locale vuol dire appunto…pareti unite. Si percorre così il greto del torrente che nei mesi estivi è all’asciutto, fiancheggiati sempre dalle altissime pareti, con la dovuta attenzione che un sasso dall’alto non cada sulle nostre teste. E’ infatti assolutamente consigliabile l’uso di un caschetto protettivo per questo genere di escursioni. Tra le pozze d’acqua che ogni tanto affiorano, mentre i rivoli si perdono nel sottosuolo, non mancano bisce d’acqua e salamandre.

Il torrente durante i mesi di piena trascina con sè ogni cosa e i rami, trascinati dalla corrente, si accumulano tra le rocce ostruendo il passaggio che diventa a tratti difficoltoso e scivoloso. Il silenzio del luogo amplifica la percezione per ogni piccolo rumore, e ad ogni soffio di vento lo sguardo è sempre rivolto verso l’alto nell’intuire il minimo distacco di roccia dalle pareti. E’ sconsigliabile addentrarsi in luoghi del genere in condizioni meteo non raccomandabili. Pioggia e vento contribuiscono infatti al distacco delle parti più friabili della roccia. Ma puntare gli occhi al cielo è anche l’occasione per scorgere magari l’aquila reale che proprio qui, dall’alto delle pareti, ancora nidifica.

Il percorso che invece si snoda nella Valle del Torano ha inizio dall’acquedotto di Piedimonte Matese, raggiungibile imboccando via Sorgente da piazza Roma. il sentiero costeggia l’acquedotto sulla sinistra fino ad addentrarsi nelle forra dove, nel primo tratto, sono visibili resti dell’acquedotto romano d’età imperiale. Nel canyon che ripercorre il greto del torrente Torano, il paesaggio è lo stesso. Alte pareti verticali impediscono al sole di penetrare all’interno dove la vegetazione abbonda di muschi e felci. Il percorso risulta a tratti molto accidentato e ricco di ostacoli. In qualche punto, corde d’acciaio fissate saldamente alle rocce dal CAI, aiutano l’esploratore a superare ostacoli altrimenti invalicabili e scivolosi. In alcuni tratti è necessario procedere con cautela prestando molta attenzione. Il tratto più suggestivo di questo itinerario è rappresentato senz’altro dalla cascata del Malopasso, il cui nome deriva appunto dalla difficoltà di accesso in alcuni tratti ferrati. Da un lato delle pareti l’acqua scivola da secoli verso il fondo, dando vita a concrecazioni calcaree rivestite da muschi che insieme rimandano ad un ambiente primordiale ed esotico. L’accesso alla cascata è possibile anche seguendo il sentiero dal senso opposto, che da valle Orsara, nel comune di Castello del Matese, s’inoltra in direzione sud verso la valle del Torano.

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