A Coruña – Cabo Ortegal – San Andrés de Teixido
…L’indomani si parte con destinazione diretta per la città di A Coruña. La strada, come al solito, è piacevole da percorrere e dopo 1 ora e 30 minuti circa eccoci arrivati. La città è metropolitana ed estesa, vivibile e mai caotica, e mostra già il fascino tipico delle città nordiche. Anche il cielo cambia aspetto. E’ grigio e carico di una pioggerellina fitta e costante che per fortuna si alterna a schiarite che permettono di godersi un po’ la città senza preoccuparsi più di tanto. L’impressione è buona. Ovunque si respira ordine e pulizia. Le strade sono ampie, così come i parcheggi sotterranei sempre più simili a vere proprie città parallele. Le facciate dei palazzi che sporgono sul mare sono quelle tipiche, realizzate completamente da balconi verandati in vetro: le galerias. Ma è solo un’impressione veloce sulla città. Tempo di depositare i bagagli in albergo e si riparte alla volta dell’estremo nord galiziano. Come al solito scelgo di percorrere l’ autovia, equivalente alle superstrade nostrane, che permette di attraversare i paesi e di non pagare alcun pedaggio, a differenza dell’autopista, l’autostrada, disponibile solo per alcuni tratti, che permette un collegamento più veloce ma sicuramente più monotona. La qualità delle strade spagnole, almeno per l’esperienza che ho avuto in questa regione, è eccellente. Mai trafficate, invogliano ad una guida rilassata e la rete tracciata su tutto il territorio è in grado di raggiungere i posti più nascosti e isolati in maniera comoda ed efficiente. Lascio velocemente la città e proseguo senza sosta puntando direttamente a raggiungere Cabo Ortegal. La frenesia di scrutare l’orizzonte da promontori ai confini del mondo è più forte di ogni altra cosa e così ho ben chiara quale sarà la meta. Proseguo in direzione Ferrol, altra città importante che come a Coruna si sviluppa nella sua ría. Il territorio continua ad essere un alternarsi di enormi distese di sabbia, dune, boschi, baie e tutto quanto manifesti un’incredibile fusione tra terra e mare. Da Ferrol prendo poi la strada che conduce ad Ortigueira, dalla quale il piccolo comune di Carino dista pochi chilometri e con esso Cabo Ortegal: punto d’incontro tra l’Oceano Atlantico e il Mar Cantabrico.
La strada mi conduce fin sotto al faro e il paesaggio che si apre davanti è impressionante e lascia senza fiato. Alla mia destra la costa resta frastagliata, interrotta da qualche insenatura e racchiude la Ría di Ortegueira con i suoi piccoli villaggi di pescatori. A sinistra, invece, alte falesie, disposte come un teatro a cielo aperto, precipitano nel mare. Davanti a me, il faro, relativamente recente come costruzione, e gli Aguillóns, tre caratteristici faraglioni che si susseguono uno dopo l’altro in mare a completare la punta estrema del capo. Il sito è di interesse nazionale e le sue rocce sono tra le più antiche del continente europeo. La natura primordiale e selvaggia del capo che precipita nell’oceano conferma perché per i galiziani questo luogo sia il considerato il Nord del nord. Purtroppo l’area attorno al faro, in quel momento, era sottoposta ad interventi di riqualificazione e mi era impossibile muovermi liberamente tra i lavori in corso. Con rammarico rinuncio quindi a qualche scatto fotografico che rendesse giustizia alla bellezza effettiva del luogo senza purtroppo includere transenne ed operai. Un ultimo sguardo sull’oceano e si riparte. Cabo Ortegal segna anche la fine del mio viaggio sulla costa verso est. C’è ancora molto da vedere spingendosi oltre ma le distanze diventerebbero lunghe e il tempo a disposizione non basterebbe. Riprendo così la via del ritorno per A Coruna ma anziché ripercorrere la stessa dell’andata decido di addentrarmi nella Serra de la Capelada, un altopiano racchiuso tra i comuni di Cedeira e Carino, per visitare il piccolo e remoto villaggio di San Andrés de Teixido. Abbandonati i boschi di eucalipto, alle basse latitudini, il paesaggio in cima all’altopiano cambia radicalmente regalando atmosfere surreali. La strada corre solitaria lungo i campi, inghiottita dalle nubi che velocemente corrono da una parta all’altra attraversandoli. Centinaia di pale eoliche appaiono e scompaiono come fantasmi. Alcune sono talmente vicine da incutere timore per la loro mole. Si attraversa, in questo tratto, uno dei parchi eolici più grandi della Galizia. Attorno, mucche e cavalli selvatici pascolano indifferenti. Prima di giungere a San Andrés mi fermo per una sosta al belvedere di Leslie Howard dove un monumento ed una targa recante i nomi delle vittime ricordano il tragico incidente che costò la vita all’attore britannico.
Il 1 giugno del 1943 Leslie rientrava in Inghilterra dopo una missione segreta compiuta al fine di evitare l’entrata in guerra della Spagna, quando l’aereo fu abbattuto dai caccia nazisti in prossimità della costa che proprio da questo punto regala una vista mozzafiato. Dal belvedere è possibile avere una visione spettacolare sulle Acantilados di Vixía Herbeira, che con i loro pendii scuri e scoscesi precipitano nell’oceano da un dislivello di 612 metri, conquistando il primato delle più alte falesie dell’Europa continentale, mentre boschi di pini e campi tappezzano di verde il paesaggio, che nella solitudine del luogo custodisce un solo piccolo villaggio. Raggiungo quindi San Andrés de Teixido che più che un paesino è davvero un pugno di case bianche raccolte, incastonate in un contesto idilliaco e fuori dal tempo. Malgrado l’isolamento è meta di un gran numero di pellegrini tanto da renderlo uno dei luoghi di culto più popolari per i galiziani che qui accorrono per venerare Sant’Andrea nella cappella a lui dedicata. Ma come spesso capita, alla devozione religiosa s’intrecciano le tante leggende che, tra fede e superstizione, hanno contribuito a rendere questo luogo ancor più misterioso e magico. Ed ecco che uno scoglio a forma di barca capovolta diventa la barca con cui l’apostolo naufragò sulla costa e insetti ed altri animali non sono che le anime di coloro che qui non sono mai giunti da vivi. Un celebre detto recita infatti: “A San Andrés vai de morto quen non foi de vivo“, per ricordare a chi non si fosse mai recato da vivo che sarebbe comunque giunto lì da morto, sotto altre spoglie. Bancarelle e negozi di souvenirs vendono invece piccoli amuleti artigianali, i sanandresinos, fatti di pane e dipinti con colori vivaci, raffiguranti cinque figure diverse legate alla vita del Santo, ciascuno indicato per esaudire una specifica richiesta in amore, lavoro, studio, salute etc.. Una fonte, invece, accoglie suppliche e desideri di coloro che bevendone l’acqua gettano una mollica di pane con la speranza che galleggi, realizzando così il desiderio. In caso contrario bisognerà ritornare e ritentare il prossimo anno. Tante altre sono le leggende legate a questo piccolo villaggio che ha conservato così nel corso dei secoli suggestioni e atmosfere ancestrali, diventando una mecca per i pellegrini galiziani e per i turisti alla ricerca di una Galizia autentica e misteriosa. La visita a San Andrés è breve ma sufficiente per caricarsi di emozioni che resteranno impresse a lungo.
Lascio quindi il villaggio mentre le nubi cominciano ad addensarsi sulla A Capelada, e riprendo la strada di ritorno, che dall’altopiano conduce di nuovo verso la costa, attraversando Cedeira e Valdovino fino alla città di Ferrol, e da qui di nuovo verso A Coruna. L’arrivo in serata in città mi permette di averne una visione diversa. Le strade del centro storico brulicano di locali movimentati dove turisti e cittadini si ritrovano per consumare tapas o degustare un buon piatto a base di pesce nelle tante pulperías, una sorta di taverne che fanno del polpo alla gallega il piatto regionale per eccellenza. E così, con la sera, la città nordica si allinea alle altre città senza rinunciare alle atmosfere animate e festose tipiche del popolo spagnolo. La pioggia sottile che cade incessantemente non permette grandi spostamenti ed approfitto così per dare un’occhiata alla piazza principale da lì poco distante. La piazza di Maria Pita prende il nome dall’eroina che nel 1589 lottò in difesa della città contro l’armata britannica. Varcando una delle porte d’ingresso, la piazza si rivela un vero gioiello dell’architettura civile. Un lungo porticato ne percorre il perimetro a pianta quadrata, mentre il palazzo municipale la domina su un lato. Di fronte, la statua in bronzo di Maria Pita. La città lentamente si svuota ed anch’io decido di tornare in albergo per godermi un meritato riposo dopo una giornata lunga e intensa. La sveglia sarà di mattino presto e prima di lasciare la camera vorrei dedicarmi ancora a qualche escursione. E’ impossibile arrivare fin qui e andarsene senza aver visitato la Torre di Hércules: patrimonio dell’Umanità dell’UNESCO e unico faro di epoca romana ancora in funzione. Il cielo è grigio e non pare dare speranza a future schiarite. L’aria del mattino è fredda e sul lungomare i venti atlantici sferzano senza tregua. Non avendo la minima percezione della distanza da percorrere mi incammino nella convinzione che la torre si trovasse abbastanza vicina. Data la conformazione della costa è impossibile scorgerla da lontano.
Camminare lungo il Paseo Maritimo è piacevole ed offre una vista sulla ría e sulle piccole spiagge che si aprono tra le scogliere. Dal porto percorro più di 3 chilometri a piedi quando finalmente vedo la torre erigersi maestosa e solitaria sulla scogliera verde. Attorno ad essa l’area è stata trasformata in un parco scultoreo attraversato da numerosi sentieri che conducono a strane sculture moderne in pietra o in ferro. Camminare in questo spazio è come muoversi in un mondo immaginario che fa da scenario alle varie leggende legate all’origine della torre e della città. Prima di accedere, un centro d’informazione molto ben organizzato fornisce un’ampia documentazione sull’architettura del faro e sulle varie trasformazioni subite attraverso i secoli. Le sue origini risalgono al I secolo d.C per mano dell’architetto Caio Servio Lupo, come si legge da un’iscrizione ai piedi della torre.
Dapprima più piccola e bassa e con una scala esterna adoperata per trasportare il combustibile, subì una profonda trasformazione nel 1788 dall’ ingegnere Eustaquio Giannini che progettò la facciata attuale della torre, conferendole uno stile neoclassico. Successivamente andarono ad aggiungersi la parte superiore per l’alloggiamento della lampada, la cassetta che ospita l’iscrizione latina e la piattaforma alla base. Attualmente ha conservato la sua funzione di faro dopo aver alternato nel corso dei secoli fasi di abbandono, soprattutto nel Medioevo quando fu convertita in fortificazione, a fasi di rinascita dove ricoprì nuovamente il suo ruolo di guida per i naviganti. Dal 2009 è Patrimonio dell’Umanità e oltre al primato di unico faro del mondo antico ancora funzionante, la Torre di Ercole è diventata il simbolo della città, per le sue leggende, per il suo passato, per gli eventi che l’hanno vista testimone e di cui ne conserva traccia. La Torre di Ercole è forse il più emblematico dei fari, perché raccoglie in sé anche il ricordo di coloro che a malincuore lasciarono queste coste in cerca di fortuna nel Nuovo Continente. Con la visita alla torre, da questa spettacolare finestra sull’Atlantico, concludo il mio viaggio lungo la costa galiziana. Ho scoperto un territorio naturalisticamente straordinario per la varietà di ambienti che offre, dove la lotta tra terra e mare è eterna e non conosce pace, dove la calma delle rías si alterna all’impeto delle onde della costa in mare aperto. La costa della Galizia è come un libro dove ad ogni capitolo c’è un faro. E in ogni capitolo, le avventure, le sventure, i miti e le leggende che qui hanno vissuto e rivivono tutt’ora negli occhi di questo popolo per il quale l’oceano è vita e morte, fonte di sostentamento ma anche di preoccupazioni. Il tempo a disposizione non mi ha concesso di vedere tutto. Le meraviglie in questo territorio sembrano non finire mai e il tempo sembra sempre poco, ma sarà occasione per programmare un piacevole ritorno. Un ultimo sguardo sull’oceano, dalla ría di A Coruna, per fare il pieno di emozioni …e si riparte, questa volta in direzione Santiago de Compostela, dove dovrò riconsegnare l’auto e dalla quale ripartirò il giorno dopo per l’Italia.
Santiago de Compostela
La distanza tra le due città è piuttosto breve e in meno di un’ora sono a Lavacolla, dove è situato l’aeroporto, a circa 16 km dalla capitale galiziana. Alle ore 13,30 riconsegno l’auto con i suoi 700 km percorsi e attendo l’autobus che mi porterà in centro. Deposito i bagagli in albergo per dedicarmi da subito alla visita della città. Ovunque si respira un certo misticismo e in tutti, per strada, traspare una certa serenità. I vicoli del centro storico sono un brulicare di turisti, studenti, cittadini e…pellegrini, che compiono gli ultimi sforzi prima di incontrare la cattedrale. Santiago de Compostela è una delle mete di pellegrinaggio cattolico più importanti al mondo e il famoso “camino” che i pellegrini intraprendono sin dal Medioevo, attraverso la Francia e la Spagna, ne è la testimonianza. Senza esitare vado subito in cerca della cattedrale raggiungendo così piazza del Obradoiro. La facciata barocca con le sue due torri alte più di 70 metri domina la piazza, punto d’arrivo e d’incontro di migliaia di persone.
Davanti la cattedrale si consumano gli ultimi atti chi, dopo centinaia di chilometri percorsi, ha raggiunto finalmente la sua meta. La felicità è tanta. Molti sono appena giunti ed altri ancora staranno per arrivare. Il flusso è continuo e non conosce tregua. I pellegrini sfilandosi lo zaino riposano stesi a terra, contemplando la cattedrale, provati dalla fatica del cammino ma soddisfatti e sereni. Lo sforzo è segnato nei loro piedi, gonfi, dolenti, spesso fasciati per sopportare il dolore delle piaghe. Chi invece arriva in bicicletta conserva ancora i segni di qualche caduta sul braccio o sulla gamba. Molti si abbracciano, altri ancora immortalano il celebre momento con qualche scatto. Nei loro volti si legge tutta la serenità di chi ce l’ha fatta, di chi si sente cambiato e diverso da quando era partito. Si dice che un tempo si andava sul cammino per salvare l’anima, adesso, invece, ci si va per ritrovarla. Arrivare fin qui a piedi, per onorare la tomba di San Giacomo, è solo l’atto finale di questo percorso che nasconde la sua vera essenza nel cammino stesso, nel tempo in cui si è soli con la propria anima messa alla prova nel superamento di limiti spirituali ancor prima che fisici. All’interno della cattedrale si consumano invece i vari rituali tra chi si mette in coda per toccare il busto d’argento e pietre preziose del Santo, posto nel retro dell’altare maggiore, e chi, inginocchiandosi, poggia la mano destra negli incavi della famosa colonna di Santiago posta nell’atrio, raccogliendosi in preghiera. L’atmosfera, anche qui, è carica di misticismo. Ritorno tra le strade del centro storico, dove il sacro a poco a poco lascia posto al profano dei tanti locali turistici, dei negozi di souvenir, dei ristoranti, e l’aria continua ad essere quella di una città in festa dove tutti sembrano condividere le stesse emozioni. Alcuni artisti di strada contribuiscono a rendere ancor più magica l’atmosfera con il suono delle loro cornamuse, mentre qualcun altro si aggira con mantello, cappello, bastone, zucca e conchiglia nelle vesti del tipico pellegrino medievale.
La luce verso sera si carica di sfumature eccezionali che tingono il cielo di rosa. Faccio un salto al vicino parco dell’Alameda dove tra gli alberi si aprono straordinari belvedere sulla cattedrale e la città di Santiago. Il sole sta per calare e gli ultimi raggi infiammano la facciata di una luce dorata davvero spettacolare. Resto in contemplazione del paesaggio fino a quando il sole, che in Galizia pare non tramontare mai, si perde alle mie spalle portando con sé la sua luce. Rientro in albergo. La stanchezza, come per ogni fine viaggio, comincia a farsi sentire e malgrado non sia stato pellegrino del cammino, ho i piedi anch’io doloranti per i chilometri percorsi sulle isole, lungo la costa, nelle città…Con la capitale concludo quindi il mio viaggio in Galizia. Un viaggio che, per quanto poco sia durato, è stato comunque fonte di riflessioni e di scoperte inaspettate. Ho trovato una regione ricca di bellezze naturali, dove la magia dei luoghi ha alimentato miti e leggende diventate parte integrante della storia di questo territorio considerato ai confini del mondo, e un popolo ospitale, abituato da secoli ad accogliere uomini di mare e pellegrini. Ho trovato il mare, quello vero. In Galizia tutto parla di mare. Ne avvolge la costa, la penetra nel profondo, la percuote, disegnandone il paesaggio, condizionando il clima, ispirando tradizioni, alimentando l’economia. L’indomani mattina dell’11 Settembre partirò per Madrid dove, in giornata, mi attenderà il volo di rientro per l’Italia.