Dimenticate flamenco, paella e le coste assolate mediterranee. A nord della Spagna la musica è fatta del rumore del vento e delle onde oceaniche che s’infrangono, del canto dei gabbiani, di cornamuse. Sono stato diverse volte in Spagna, dove vado sempre volentieri e di cui apprezzo gli spazi poco popolati, i suoi parchi, l’ attenzione verso l’ambiente e le sue città, movimentate, ricche di storia e cultura, che guardano al futuro pur restando legate alle loro tradizioni. Questa volta l’idea era quella di visitare la regione della Galizia, a nord-ovest quindi, percorrendola lungo la costa per verificare come l’influenza dell’Oceano Atlantico avesse condizionato il paesaggio, la vita e i costumi di questo territorio. Dopo una visita veloce alla città di Porto durata un paio di giorni, dove sono giunto il 2 settembre con un volo diretto da Roma, sono partito alla volta di Vigo, lasciando così il Portogallo, che di sicuro meriterebbe una visita più approfondita di quanto abbia fatto io. In appena due ore di autobus raggiungo Vigo.
Nonostante non sia né la capitale né capoluogo di provincia, è la città più popolata della Galizia e a primo impatto lo si nota subito, con le sue aree industriali e il suo porto immenso. Sorge sull’omonima ría. Le rías sono insenature tipiche della Galizia, che si addentrano nella costa come fiordi, si sono formate in seguito allo sprofondamento trasversale delle valli tettoniche e la conseguente occupazione del mare all’interno per diversi chilometri, spesso sommergendo antichi alvei fluviali. Più romanticamente si dice che qui Dio abbia poggiato la mano, dopo la creazione, per riposarsi, lasciando così che la costa si forgiasse sotto l’impronta delle sue dita. Queste a sud sono le Rías Baixas ( rias basse) mentre a nord di Fisterra le rías prendono il nome di Rías Altas. Vigo è una città piacevole da visitare, moderna, accogliente, ben curata, culturalmente dinamica, commerciale… ricca. Questo è quanto ho percepito in un giorno di permanenza che, dopo aver girovagato tra le vie commerciali ricche di negozi e il grazioso centro storico, ho preferito concludere con una visita al Parco del Castro, che sorge su una piccola collina da cui è possibile godere di una vista sulla città e di uno spettacolare tramonto sulle Isole Cíes.
Ézaro-Fisterra
Lasciate le isole Cíes, rientro a Vigo per raggiungere l’aeroporto dove ritiro l’auto da noleggiare per ripartire verso nord, in direzione Costa da Morte. Il paesaggio sulla costa è ricco di insenature, di ambienti di transizione dove mare e terra si confondono creando lagune, dune, ampi arenili, che cambiano continuamente per effetto dei venti e delle maree. La costa resta bassa e le rías creano approdi sicuri e protetti. Percorro la superstrada per Pontevedra, città che meriterebbe una sosta ma che preferisco evitare per soffermarmi meglio su altri luoghi successivamente. Da Pontevedra proseguo in direzione Santiago de Compostela, per poi ripiegare nuovamente sulla costa. Dopo circa 1 ora e 40 minuti raggiungo il piccolo villaggio di Ezaro, nel comune di Dumbria, passando così dalla provincia di Pontevedra a quella di Coruna. Il monte Pindo con i suoi 627 metri d’altezza domina questo tratto di costa e racchiude paesaggi naturali di grande interesse. Da un lato, la spiaggia di Carnota, la più ampia della Galizia, con i suoi 7 Km di lunghezza e tra le più belle, dall’altro la Ría di Ezaro in cui il fiume Xellas precipita dalle pendici del monte con un salto di 40 metri. La cascata è meta di molti turisti, attratti soprattutto dal fatto che è l’unica dell’Europa continentale a precipitare direttamente in mare.
E’ raggiungibile comodamente lasciando l’auto a pochi metri, dove si trova anche un piccolo museo dedicato alla centrale idroelettrica che sorge alle sue spalle, a monte della cascata. Nei week end estivi è possibile ammirarla anche illuminata di sera dalle 22,30 alle 23,30, regalando così un’immagine ancora più suggestiva ed emozionante. La portata e il fragore sono notevoli ed è una fortuna poterla ammirare così vicino. Da qui, risalendo alcuni tornanti, un’indicazione mostra la strada per il punto da cui è possibile avere un’ampia panoramica sulla Ría di Ezaro fino a scorgere sulla destra Cabo Fisterra. Il sole sta calando all’orizzonte e le luci calde del tramonto infiammano le rocce granitiche del monte. Dall’alto, le curve sinuose che la baia disegna penetrando la costa regalano riflessi che illuminano la superficie, racchiusa tra le due sponde perfettamente complementari. Il paesaggio che si staglia davanti e che apre all’oceano è davvero notevole ed è facile comprendere come il monte Pindo sia per i galiziani l’Olimpo dei Celti. Purtroppo qualche giorno dopo il mio rientro vengo a conoscenza di un vasto incendio, il più devastante del 2013 in Spagna, che ha distrutto ben 2200 ettari di bosco, a danno di uno dei siti naturalistici più importanti. Tutt’ora un’associazione a difesa del monte sta combattendo affinchè il sito venga dichairato Parco Nazionale e riceva così le necessarie attenzioni e tutele da parte dello Stato e della Regione.
Con il sopraggiungere della notte ho proseguito la mia strada, con una sosta per il pernottamento a Cee, circa 7 km dopo, anche questo un piccolo paese molto simile a tutti gli altri, protetto dalle insenature. L’indomani si riparte, risalendo la costa sempre in direzione nord, e a pochi chilometri da Cee si scorge già il promontorio di Cabo Fisterra. Lungo la strada è un susseguirsi di pellegrini che hanno scelto Fisterra come tappa finale del pellegrinaggio del Cammino di Santiago. Siamo infatti a 91 km dal capoluogo galiziano. Il percorso che da Santiago termina fin qui può essere certificato con la cosiddetta “Fisterrana”, rilasciata dal municipio, attraverso la presentazione dei timbri raccolti durante il cammino. Il motivo per il quale questo territorio rappresenti una tappa importante per il cammino spirituale lo si deduce dal significato stesso del suo nome: Fisterra, ovvero Finis Terrae, fine del mondo.
Qui gli antichi romani avevano fissato il limite del mondo fino ad allora conosciuto. Anche se attualmente ad essere il punto più ad ovest dell’Europa continentale è Cabo de Roca, in Portogallo, Fisterra non ha perso il suo valore simbolico e spirituale riuscendo a conservare, attraverso i secoli, il significato ideale di ultimo traguardo al di là del quale l’orizzonte si apre sulla vastità dell’oceano in cui è naturale perdersi. Sono arrivato al mattino, prima che il posto diventasse un via vai di turisti irrequieti, in una giornata soleggiata con un mare incredibilmente calmo. Né il rumore del vento o delle onde né il vociare dei turisti a rompere il silenzio che assecondava e amplificava l’aura mistica che qui si respirava. I pellegrini giunti fin qui, carichi dei loro zaini, affaticati e provati, come da rituale proseguono al di là del faro per deporre qualche indumento o accessorio, di solito le scarpe, a memoria del pellegrinaggio compiuto. Un traliccio accoglie parti di vestiario, rosari, scarpe, santini, cappelli ed ovunque, sulle rocce, altri oggetti sono stati abbandonati. Spesso i cumuli vengono bruciati, tanto che il terreno è nero dalla cenere.
Altri pellegrini si aggirano presso l’ ampia e suggestiva spiaggia di Langosteira per immergersi in un bagno purificatore secondo l’antica tradizione medievale o per raccogliere qualche capasanta, la tipica conchiglia simbolo del cammino di Santiago. Paesaggisticamente il promontorio con il suo faro resta piuttosto indifferente o quantomeno meno spettacolare rispetto a gli altri incontrati in seguito, ma la sua carica di emozioni e suggestioni è tale da renderlo comunque memorabile. E così, in silenzio, allo stesso modo in cui si è arrivati, si lascia Fisterra proseguendo ancora verso nord.
Nel cuore della Costa da Morte
Cabo Fisterra, fine del mondo, ma anche l’inizio di quel tratto di costa che da qui fino a Malpica è stato teatro di numerosi naufragi nel corso dei secoli a causa della conformazione della costa e delle condizioni avverse del mare, tanto da essere chiamata “Costa da Morte“. Un nome accattivante, dove alle tragedie reali accadute si mescolano le leggende di antichi miti galiziani. Il paesaggio, rispetto alle Rías Baixas, diventa man mano che si procede verso nord sempre più aspro e selvaggio e le città lasciano posto a piccoli villaggi di pescatori, incastonati tra le scogliere, che traggono tutte le loro risorse da quell’oceano che per loro è fonte di vita… e di morte. La prima tappa è Muxía. Anche oggi il sole ci regala una giornata calda e meravigliosa dal mare sorprendentemente calmo, con un cielo completamente libero da nuvole ed una luce che ravviva i colori. E’ domenica e il paese è pieno di turisti, per lo più fedeli accorsi in visita al Santuario della Vergine della Barca, anch’essa meta di pellegrini che, a piedi o con ogni mezzo, giungono numerosi con il loro carico di suppliche e preghiere.
La tradizione del culto è legata all’apparizione della Vergine che giunse qui dal mare a bordo di una barca di pietra per soccorrere l’apostolo Giacomo (Santiago) nella sua opera di predicazione. Ciò che colpisce è la posizione in cui si colloca. Interamente in pietra sorge su un’ampia scogliera di granito con il sagrato che affaccia sull’oceano. E’ un via vai di turisti, pellegrini, fedeli, che si disperdono sulla scogliera testando le leggendarie pietre mistiche. Alcuni, chinandosi, strisciano sotto un enorme masso ricurvo attraversandolo da una parte all’altra. E’ la Pedra dos Cadrís, che secondo la leggenda cristiana sarebbe la vela lasciata dalla barca, dotata di poteri curativi per reumatismi e dolori alla schiena. Altri invece, da soli o in gruppo, cercano di far oscillare un’altra pietra piatta, la Pedra di Abalar, saltandoci sopra e cercando di smuoverla. Al suo movimento sono infatti legati presagi negativi o positivi a seconda dell’esito dell’oscillazione.
Poco distante dal Santuario, un memoriale in pietra raffigurante una profonda spaccatura, “La Ferida”, ricorda i centinaia di volontari che si adoperarono per la pulizia della costa dopo il tragico incidente della petroliera Prestige, a largo delle coste galiziane, nel 2002. La nave riversò in mare migliaia di tonnellate di petrolio creando uno dei più grandi disastri ambientali, interessando un tratto di costa che dal nord del Portogallo arrivava fino alla Francia. Il disastro e le drammatiche conseguenze mobilitarono volontari da tutto il mondo che accorsero per ripulire le coste della Galizia dalla marea nera. Di ciò che fu non resta traccia e solo in qualche punto, tra gli scogli, è ancora visibile del nero che il mare fa fatica a ripulire. Un ultimo sguardo dall’alto della collina permette una visione globale del paese e della sua costa. Lasciata Muxía ho proseguito alla volta di Camarinas, nel cuore della Costa da Morte, dove ho pernottato. Il territorio, qui, merita una sosta prolungata e si rivela essere un buon punto di partenza per programmare escursioni lungo la costa, visti i numerosi siti d’interesse.
Ovunque dei venditori offrono pesce fresco cotto al momento sulla brace e dalle vetrine delle mense i piatti abbondano di ogni bene che il mare sia in grado di offrire. Pesci e crostacei, in Galizia, sono gli alimenti principali della cucina locale e per qualità e varietà la rendono tra le più appetibili. I prezzi sono contenuti e il sapore dei piatti a base di pesce è divino. Come trofei, i ristoranti espongono vassoi colmi di percebes, prelibati crostacei dall’aspetto mostruoso, il cui costo elevato è legato al rischio di pesca. Crescono infatti sulle scogliere battute dalle fredde onde oceaniche e per catturarli i percebeiros, legati ad una fune ed armati di coltello, si calano sulle rocce raschiando la superficie e sfidando l’impeto delle onde.
Si trovano sulle coste atlantiche della Galizia, Portogallo e Marocco, ma pare che quelli galiziani siano più grandi e più pregiati. Oltre ad un’offerta gastronomica di tutto rispetto, Camarinas è anche nota per il suo artigianato. La giornata è calda e soleggiata e fuori le botteghe e le associazioni di artigianato, le palilleiras, come vengono chiamate le ricamatrici, lavorano ai merletti in modo del tutto particolare tanto da catturarne l’attenzione e meritare un approfondimento. Una sorta di cuscino cilindrico fa da supporto al disegno del quale seguono i contorni durante la lavorazione, muovendo spilli e maneggiando i fusi in legno con un’abilità ed una velocità tale da lasciare sbalorditi, specie tra le donne più anziane, dove è impossibile cogliere attraverso le mani in movimento i meccanismi di questo lavoro. La giornata volge al termine e le ricamatrici depongono i loro cuscini sulle sedie o poggiati alla parete delle loro botteghe in attesa di riprendere il lavoro il giorno seguente. L’indomani si parte in direzione Cabo Vilán, sito naturale di importanza nazionale, per una visita al faro.
Grazie alle indicazioni è facilmente raggiungibile dal centro di Camarinas. Dopo aver attraversato boschi di eucalipto e fiancheggiato campi di pale eoliche, sono giunto al faro. La sua presenza è imponente ed è senz’altro tra i più belli e significativi della costa galiziana. Situato su uno sperone che si eleva dal mare per 125 metri, è il faro elettrico più antico della Spagna. Ai suoi piedi un edificio ospita un interessante centro d’informazione sulla storia del faro e sui naufragi che si sono succeduti in questo tratto di costa. Da Cabo Vilán la costa è ancora più selvaggia e solitaria e decido così di percorrere la strada sterrata che da qui conduce fino al piccolo villaggio di Camelle. La strada è ampia e ben mantenuta e segue il perimetro della costa in uno dei suoi tratti più belli, in totale solitudine, lasciando spazio alla sola contemplazione del paesaggio marino. La costa è frastagliata ed alterna alte scogliere a spiagge paradisiache. A largo, scogli affioranti ed isolotti ricordano la pericolosità di questo tratto che, in condizioni di tempo avverse, è stato spesso teatro di naufragi e sciagure.
A memoria dei drammatici eventi alcune croci erette sugli scogli si ripetono un po’ ovunque lungo la costa. Proseguendo, voltata Punta do Boi, il paesaggio offre un ampio panorama sulle spiagge di Trace, selvagge e battute dal vento, dominate sullo sfondo dal profilo del Monte Bianco, che con meraviglia scopro essere la duna più alta dell’Europa continentale. Una lingua di sabbia scoperta lascia intravedere la duna che si confonde con il monte. In questo tratto si trova anche il Cimitero degli Inglesi. Delle mura perimetrali in pietra delimitano infatti il luogo in cui furono sepolti gli uomini della nave britannica “The Serpent” che proprio qui, a Punta do Boi, naufragò l’8 novembre del 1890. Dei 175 uomini soltanto 3 sopravvissero. Il popolo di Xavina provvide a dare loro degna sepoltura realizzando questo piccolo e semplice cimitero di pietra direttamente sul mare, a poca distanza dalla spiaggia. La strada continua lungo la costa ed io procedo lentamente per godere di ogni piccolo scorcio, fino a quando se ne allontana per risalire il monte. Al di là del Monte Bianco la strada sterrata continua fino a scorgere i piccoli villaggi solitari di Arou e Camelle.
Arrivo a Camelle per visitare il Museo do Alemán, un museo a cielo aperto fatto di sculture in pietra ricavate dagli scogli, realizzate da un eremita tedesco che si trasferì qui nel 1962. Manfred Gnadinger fu un uomo solitario che passò tutto il resto della sua vita in una misera casa direttamente sul mare, senza acqua corrente né elettricità, su quella scogliera dove lui stesso reperiva materiale per le sue opere, nutrendosi di ciò che ricavava dal mare e dal suo giardino. Alto, scheletrico, dalla barba e dai capelli lunghi, indossava solo un perizoma restando per il resto nudo durante tutto l’anno, insensibile all’inverno così come alle fredde acque oceaniche dove era solito nuotare. Man, come veniva affettuosamente chiamato dagli abitanti locali, trascorse una vita lontana dalle comodità e dal materialismo della vita moderna fino al 2002, l’anno in cui morì. Un mese prima della sua morte, la sciagura della petroliera Prestige non risparmiò le sue sculture, che furono ricoperte dalla marea nera e con esse la sua casa e il suo giardino. Si dice che morì di crepacuore dopo aver visto i suoi lavori, e tutto ciò che rappresentava la sua vita, completamente devastati dal petrolio. La sua morte attirò l’attenzione pubblica e rappresentò per tutti la prima vittima umana di quel disastro. Come per il resto della costa, anche le sue sculture furono ripulite ma il museo versa adesso in uno stato di totale abbandono. Nonostante le varie richieste di intervento da parte dell’opinione pubblica nel salvaguardare le opere e la sua casa, pare che fino ad ora nulla di concreto sia stato fatto.